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Thursday, 03 January 2019 16:04

FABI a Pitti Immagine Uomo

FABI SPA a Pitti Immagine Uomo con il suo nuovo spazio nel Padiglione Centrale, allestito da Barberini con materiali di pregio e soluzioni architettoniche contemporanee come la nuova collezione pensata dal Brand Manager Emanuele Fabi e realizzata dai Maestri di Monte San Giusto.

L’idea portante della collezione FW1920 nasce attorno a prodotti dalla vestibilità trasversale, costruiti su nuove forme con volumi e fondi importanti, sfruttando il know how del brevetto Flex Goodyear 102, il top di gamma per l’Azienda fondata da Elisio Fabi, il papà di Emanuele, a Montegranaro nel novembre del 1965

“Il concetto di “trasversale” mi piace in senso assoluto – spiega Emanuele Fabi – e poi bisogna fare i conti con tendenze e mercati che da qualche anno premiano più il mondo sportivo di quello classico. Ho pensato così a una collezione che strizza l’occhio agli “ibridi”, il classico che tende allo sport e viceversa, quindi a prodotti day to night che indossi al mattino e non vorresti cambiare mai. Il minimo comune denominatore sta nel nostro meglio del meglio: la costruzione Flex Goodyear 102 valorizza anche una sneaker come la Jesse, a Pitti nelle versione “Jesse 2” più aperta  ed elegante”.

La collezione FW1920 sviluppa anche i concetti dell’urban trekking, con polacchini in pregiati vitelli arricchiti da fodere in lana, e punta come sempre sull’altissima qualità dei materiali e sull’arte delle colorazioni a mano: cervi da decolorare e croste in inglesi da invecchiare con pazienza e amore per il prodotto spiegano al meglio una collezione figlia di passato e presente, heritage e innovazione.

Tuesday, 18 December 2018 18:58

SNEAKERS JESSE, HEROES FROM THE PAST #4: GIRARDENGO

 

Costante Girardengo e il bandito che voleva pedalare come lui

Vai Girardengo, vai grande campione
nessuno ti segue su quello stradone
Vai Girardengo, non si vede più Sante
è dietro a quella curva, è sempre più distante.
["Il bandito e il campione" - Francesco de Gregori, 1993]

Si sente dire spesso che per ogni campione sportivo che ce l’ha fatta ne esistono altri cento, mille, che per i più svariati motivi non sono riusciti a raggiungere gli stessi traguardi.
Stesso talento magari, ma meno forza di volontà, o meno tenuta mentale. Nessun fuoco sacro, dentro. Meno fame.
Ecco, se dovessimo dare ascolto alle leggende che dai primi anni del Novecento si tramandano nelle province piemontesi, potremmo dire che c’è stato un caso in cui un campione – tra i più grandi di sempre della nostra nazione – ha avuto un amico che avrebbe potuto dargli del grosso filo da torcere.

Ma che, a differenza delle altre decine di incompiuti, un po’ per scelta un po’ per destino ha scelto di diventare un “campione” in uno “sport” un po’ meno seguito e apprezzato, il crimine.

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Una storia, quella del fenomeno del ciclismo di Novi Ligure – Costante Girardengo – e del suo amicone bandito Sante Pollastri, che ha ispirato addirittura De Gregori e un suo intero album nel 1993, oltre che una fiction Rai (vabbè…) nel 2010.
Una storia che è diventata, grazie all’assenza dei media rapaci odierni e di tecniche di comunicazione ben più lente di un blog, un mito incastonato tra un’Italia unita ancora giovane e una narrazione epica da legare ai primi grandi eroi del nuovo secolo sportivo tricolore.

Ma le leggende, si sa, sono fatte per essere smentite, pur conservando un fondo di affascinante verità.
Quello che sappiamo è che Sante è nato sei anni dopo Costante: 1899 contro 1893.
Cresciuti grossomodo nello stesso quartiere di Novi Ligure, provincia di Alessandria, è assodato che entrambi fossero poveri come la maggior parte dei loro connazionali, forse pure più della media, già drammaticamente alta durante l’ingresso nel Secolo Breve.

Compagni di scorrazzate in bicicletta durante l’infanzia per dimenticare le proprie misere condizioni e pure la fame malefica, i due prendono presto strade differenti, nonostante il desiderio atroce di sconfiggere la povertà sia vivo in entrambi: Girardengo a 19 anni è già professionista, Pollastri lo segue con orgoglio e desiderio di emulazione ma nel 1918 ha già la vita segnata dal rancore verso polizia, società, Carabinieri. Dicono che un membro dell’Arma gli abbia ucciso un parente, o stuprato la sorellina: le versioni non coincidono, la leggenda è appunto una leggenda, ma il risultato è purtroppo certificato. Quel rancore si è già tramutato in una ribellione più oscura, la criminalità.

Costante Girardengo sfreccia intanto sulle strade d’Italia: domina due Giri, distrugge la concorrenza nella Milano-Sanremo, la sua preferita con ben sei vittorie, fa incetta di campionati italiani di ciclismo su strada, addirittura arriva secondo ai Mondiali in Germania nel 1927. Diventa il primo vero Campionissimo nella storia del nostro ciclismo, un talento naturale, puro, con quel piedino rapido e fluido fisso sui pedali, da mattina a sera, di vittoria in vittoria.
Una leggenda vera, ammirata e ispiratrice, che tanto avremmo voluto vedere con le nostre sneakers Jesse ai piedi, a volare come il vento sul cemento e in giro per il Bel Paese.

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Nulla a che vedere però con le “fughe” di cui è già diventato maestro Sante, il feroce Sante. Il generoso Sante.
Introvabile, inafferrabile, odiato dalle forze dell’ordine di Italia e Francia, amato dagli anarchici e dai poveracci come lui cui – si dice- regali parti delle refurtive, il bandito autore di rapine e omicidi che accrescono la sua nomea in tutta Italia proprio come l’amico Costante, è campione indiscusso di “volate” cui Girardengo non ha mai dovuto partecipare, fortunatamente.

I giornali lo chiamano “Nemico Pubblico Numero Uno”, nientemeno.

Perso di vista per ovvi motivi, Costante – che in cuor suo conserva il ricordo di un ragazzo figlio delle stesse misere condizioni – rincontrerà Sante a Parigi nel 1927, quando la Gloria sportiva è ormai alle spalle e i 40 anni alle porte. Pollastri, braccato dai gendarmi, tramite il massaggiatore di Girardengo amico comune ottiene un incontro con il ciclista durante la Sei Giorni parigina: felice nonostante tutto, Sante riabbraccerà colui che aveva lanciato “la fuga” da Novi Ligure e dagli stenti in tenera età, salutandolo e dandogli appuntamento nella terra natìa, ora che entrambi ce l’hanno fatta.

E Girardengo? Impaurito da un potenziale scandalo e fatte sue le confidenze del criminale, pensò giustamente di denunciarlo subito, testimoniando al suo processo dopo l’arresto avvenuto proprio nella Ville Lumiere. Sante si prese l’ergastolo, mentre Costante finì nel 1936 la propria incredibile carriera, diventando allenatore, testimonial, simbolo assoluto di un nuovo sport fatto di superuomini…e chissà, forse pure di banditi.

Due ragazzi del borgo cresciuti troppo in fretta
un’unica passione per la bicicletta
un incrocio di destini in una strana storia
di cui nei giorni nostri si è persa la memoria
["Il bandito e il campione" - Francesco de Gregori, 1993]

Monday, 03 December 2018 00:02

SNEAKERS JESSE, HEROES FROM THE PAST #3: PRIMO CARNERA

Primo Carnera, il più grande pugile italiano

Carnera era un mito annebbiato, eco lontana dell’età del jazz e del Charleston.
[Nantas Salvalaggio]

Dicono che l’odore del ring sia un qualcosa di unico.
Qualsiasi ring.
Ogni quadrato ha migliaia di storie da raccontare, intrise su quel tappeto, su quelle corde.
Sudore. Sangue. Polvere. Gomma. Pelle.
L’essenza, il Dna di ogni combattente salito su uno di quei quadrati isolati dal resto dell’universo da tre sole corde per lato, intrappolato per sempre su quel ring.

Poche storie però possono resistere al confronto con quella di Primo Carnera, il più grande pugile italiano di sempre, il “Gigante Buono”, la “Montagna che cammina” e chi più ne ha ne metta.
Avesse l’Italia ereditato almeno un’oncia della cultura e della passione sportiva statunitense, Carnera sarebbe ancora oggi uno dei più celebrati eroi del nostro sport.
Nulla di meno: chiunque conosca le sue vicende vi direbbe che trattasi di storia da film, punto.
Un classico hollywoodiano: inferno, paradiso, malattia, addio.

Volendo iniziare dalle origini, nessuno tra l’anno di nascita, il 1906, e quello del primo combattimento, intorno al 1926, avrebbe mai scommesso una lira bucata a favore di Primo.
Nato poverissimo in provincia di Pordenone, costretto dalla Prima Guerra Mondiale e le condizioni disgraziate della propria famiglia a contribuire sin dai dodici anni alle finanze di casa, a 14 era già in Francia, dagli zii vicino a Le Mans.
Una soluzione disperata, guidata da bisogni essenziali come mangiare e sopravvivere.
Prima come carpentiere, poi come attrazione circense, Primo Carnera pareva un colosso ingenuo di quasi due metri per 130 chili, inutile e sfruttato da chiunque manco fosse uscito da “La Strada” di Fellini, sosia di Anthony Quinn e del suo Zampanò.

Ma proprio il circo, per vie traverse, gli salvò la vita: ingaggiato naturalmente come “il lottatore friulano” imbattibile, venne avvistato durante uno dei tanti, facili knock out della sua vita sotto il tendone dall’ex campione dei pesi massimi Paul Journee.
Qualche parola per convincerlo, l’accordo sul part time col circo per continuare a guadagnarsi da vivere ed ecco finalmente Primo porre l’ideale scarpa Fabi “Jesse James” sul ring del pugilato, l’unico ambiente naturale.

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Il resto, direbbero quelli bravi, è storia. Il primo knock out ufficiale, il 12 Settembre 1928.
Le ingerenze più che puntuali della mafia italica e i conseguenti match truccati.
L’ascesa poderosa di uno dei ganci destri più pesanti di sempre, seppur non ancora contornati da un’altrettanto buona tecnica.
Il rientro col passaporto francese nell’Italia che così poco gli aveva dato prima dell’arrivederci.
E poi il trasferimento nel 1929 negli Stati Uniti, l’ultimo giorno dell’anno.

La cosa per Carnera si fece sempre più intensa, seguita, globale, seppur qualche dubbio sulla regolarità dei combattimenti persistesse.
I successi diventavano sempre più fragorosi e seguiti, così come la sfida verso il titolo mondiale.
Prima però un altro dramma avrebbe portato il “Gigante Buono” sull’orlo del ritiro: pronto a sfidare il detentore del titolo Jack Sharkey, era prima necessario mandare al tappeto Ernie Schaaf, vecchio sfidante di Sharkey con problemi non registrati al cervello.
La potenza di fuoco di Carnera, ad un passo dal match per il titolo, si scatenò sull’avversario: sarebbe morto 4 giorni più tardi, facendo meditare all’inconsolabile Primo l’addio sportivo.

Ripresosi dallo shock, finalmente il 29 Giugno 1933, in piena Depressione, a New York “la Montagna che cammina” si issò con prepotenza sul trono mondiale del pugilato, con un KO memorabile ai danni di Sharkey.
Primo italiano di sempre a diventare campione del mondo, oltre a film e brand pubblicitari venne suo malgrado utilizzato anche dalla stampa fascista come simbolo imperituro e invincibile del vigore italiano.
Ma per molti, forse per tutti, le sue gesta sarebbero state legate semplicemente a un faccione dal volto buono e un nome che, allora così come oggi, continua ad essere sufficiente per rievocare un’intera epoca, quella dei più Grandi, e di un italiano sopra a tutti: Primo.

Monday, 12 November 2018 19:27

SNEAKERS JESSE, HEROES FROM THE PAST #2: MEAZZA

 

Peppino Meazza, il nostro primo fenomeno

Grandi giocatori esistevano già al mondo, magari più tosti e continui di lui, però non pareva a noi che si potesse andar oltre le sue invenzioni improvvise, gli scatti geniali, i dribbling perentori e tuttavia mai irridenti, le fughe solitarie verso la sua smarrita vittima di sempre, il portiere avversario.
[Gianni Brera]

Che fenomeno che era Peppino.
Quando siamo entrati nello storico Museo di San Siro, le reliquie più scintillanti ci sono da subito sembrate essere le sue scarpette taglie 40.
I ricordi sono scivolati rapidamente indietro di quasi un secolo, al decennio dei ’30, alla nostalgia.
Naturalmente alla dittatura – quella era – e ai primi due Mondiali vinti dall’Italia.

Quindi, naturalmente, a Peppino Meazza. Il più forte di sempre, oh sì.

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Piedini, dicevano, e non piedoni, per un giocatore unico, ovviamente all’avanguardia rispetto ai propri tempi, come tutti i fenomeni.
Classe, qualità, fascino. Sex appeal.
Peppino non seduceva solo le folte schiere di milanesi innamorate del suo taglio da Dongiovanni con tanto di brillantina.
Ma soprattutto avversari, difensori e portieri, tanto da diventare il miglior marcatore di sempre dell’Inter, la sua Inter. La mitica Ambrosiana. Sì anche oggi, nel 2018.

Leggiadro su quei piedi, seminava panico, terrore e boati di stupore con dei dribbling fulminei, con il solo obiettivo di portare la palla fin dentro la porta.
Amava lo show, Giuseppe Meazza, dentro e fuori dal campo.
Un modo per esorcizzare le proprie umili origini, come disse una volta come meglio non si sarebbe potuto l’altrettanto mitico Gianni Brera: “Lucido di brillantina, gli occhi assonnati, il sorriso bullo, l’automobile (che ben pochi avevano), i quattrini facili, i balli, il gioco, le veglie presso le Maisons Tellier di mezzo mondo, il trionfante Peppin vendicava le angustie degli umili antenati e di tutti noi poveracci suoi pari, passando per un genio al quale era consentita ogni stravaganza.”

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Campione del Mondo con la nostra nazionale nel 1934 e nel 1938, avrebbe pianto l’addio all’Inter per approdare al Milan (oh che errore!) e poi alla Juventus, le arcirivali.
Il Purgatorio a Varese e Bergamo – una sorta di Re del Nord-Ovest italico – e poi, finalmente, il ritorno finale all’FC Internazionale, al nerazzurro col quale coprire con onore la propria “bara” calcistica, prima di passare dall’altra parte della barricata come allenatore e poi, addirittura, come giornalista.

Andatosene per un male incurabile il 21 Agosto del 1979, fu sempre il migliore anche se sempre il più piccolo fin da quando giocava “sui campi spelacchiati di Porta Vittoria, il suo quartiere” a piedi nudi tra sabbia, cemento e polvere, in attesa che le sue scarpette – omaggiate qui dalle nostre sneakers – venissero issate a simbolo del suo calcio funambolico e creativo.

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Solo una cosa è sempre stata indigesta al nome che oggi adorna La Scala del calcio, San Siro: il soprannome universale di “Balilla” in piena era fascista, senza che avesse alcun legame ne appartenenza con quelle ideologie che stavano trascinando di forza la sua Italia in guerra, alla rovina.
Fu un compagno di squadra più vecchio, Leopoldo Conti, ad appiopparglielo al suo esordio a 17 anni con la prima squadra: “ora facciamo giocare anche i balilla!” disse scocciato, venendo smentito 90 minuti dopo, con una tripletta sensazionale con cui Meazza aprì e chiuse velocemente qualsiasi tipo di dibattito futuro.

Ad allenarlo in quella partita Arpad Weisz, l’allenatore ungherese di origini ebraiche che aveva creduto in Peppin e sarebbe poi morto durante l’Olocausto, ad Auschwitz.

Un grazie sentito, ad entrambi.

Tuesday, 07 August 2018 14:24

Fabi Natural Color: la nuova sneaker Fabi limited edition!

Colori, natura e arte si fondono nel nuovo progetto Fabi uomo. L’atto creativo puro e spontaneo di Massimo Baldini, artista, contadino pensatore, nasce dalla sua passione, ereditata dall’ antico mestiere dell’estrazione del colore naturale dalle piante tintoriee. Il suo gesto, nato in uno shooting fotografico di Noris Cocci dedicato all’estrazione dei colori naturali, ha assunto una forma precisa, si è mutato in un oggetto, una cosa, concreta. Una scarpa.
La sua opera istantanea, nata e poi sparita non esiste più; non vi è più una traccia su alcun supporto materiale, che non sia già… altro, altra forma, diverso oggetto (la scarpa). Solo un segno resta dell’esistenza di tale gesto, catturato per sempre dalla fotografia, pronta a fermare l’istante – atto: l’immagine.

La foto è testimone e segno che l’atto creativo è esistito. Per sempre. E lo sarà oltre il tempo, lo spazio, le persone, le cose. Più dell’oggetto stesso. Edizione limitata! La sneaker è disponbile su Fabiboutique.com solo fino ad esaurimento!

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