Nel mondo moderno è difficile pensare che le sfumature, i colori, più o meno intensi, un tempo erano già importanti per abbellire, adornare, rendere ancora più suggestivi oggetti e dipinti. Raffaello, nato proprio ad Urbino, nella sua casa riceveva lezioni di pittura dal padre Giovanni ed oggi è rimasta una testimonianza tangibile nella pietra che si può vedere nella bottega del pittore dove venivano macinati i pigmenti naturali.
Nel Montefeltro, nella parte più a nord della regione Marche, il guado è stata una risorsa importante per l’economia locale anche perché il blu era considerato “oro” tra le tinte da poter utilizzare. A confermare tutto questo sono le numerosissime macine sparse nel territorio e ritrovate. Circa 60 macchine per estrarre il guado che nel tempo sono state riutilizzare per costruire curiosi oggetti, tavoli, basamenti per croci e tanto altro.

 

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La scoperta è continua tanto da aver incuriosito i turisti che percorrono itinerari tematici proprio seguendo le macine del guado attraverso le antiche tradizioni come quella di indossare il rigatino, l’abito della festa del contadino a strisce bianche e celesti. Il blu e le sue innumerevoli tonalità si ritrova anche nei dipinti di Piero della Francesca di Borgo San Sepolcro in Toscana. Il mulino utilizzato per il guado era costituito da due ruote, una fissa e una mobile, realizzate in pietra. Il processo di produzione del così detto cilestre era molto importante e impiegava tanti coltivatori e tintori, rappresentando una grande ricchezza per il territorio.

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Oggi, come ieri, è ancora possibile ritornare alla natura e alle lavorazioni più autentiche. Viaggiando tra il Montefeltro e la Toscana, le macine ritornano a girare nella mente e nell’immaginazione, dando vita a quella tinta inconfondibile che si ricava da una delle piante tintorie antiche.

Il guado è molto forte e resiste anche ai climi più freddi, deve essere coltivato in terreni ricchi ben esposti alla luce del sole e non ha bisogno di cure particolari. La fioritura gialla e meravigliosa arriva in primavera in piante che raggiungono anche il metro di altezza. Il colore si ricava dalle foglie prodotte nel primo anno di vita e raccolte a piena maturazione, per ricavare il prodotto ne serve una grande quantità. “Pesta molto sottile erba di guado, fanne pallottole come mele, poi prendi per ogni libbra di guado due once di sale comune, tre once di zolfo vivo e un’oncia di allume di rocca; quindi trita bene tutto insieme e mescola con l’erba. Metti tutto in un vaso di rame con acqua pulitissima e stempera come fosse una salsa non troppo densa; metti al fuoco brillante, e lasciacelo tanto che diventi come pasta; polla quindi sopra una tavola e stendila piuttosto sottile. Tagliala con il coltello come ti pare, metti ad asciugare e sarà fatto l’indaco”. Tra i vari procedimenti così si legge nel manoscritto 2861 della Biblioteca Universitaria di Bologna, un codice formato da 239 carte di 15 righe, inizialmente conservato nel convento di San Salvatore. Negli anni poi le lavorazioni del guado sono cambiate e oggi le tinte naturali tornano a colorare scarpe e tessuti come dimostra Fabi nel suo progetto che riporta alla luce le colorazioni più antiche.

Non mi stanco mai di un cielo azzurro.
(Vincent van Gogh)