“Uno straordinario concorso di circostanze mi portava a vivere più vite parallele, e a incontrare persone molto diverse tra loro.”

27 Luglio 2017, un Giovedì sorprendente

Suite #43 – Hotel ME Milan Il Duca, piazza della Repubblica 13

Mi bisbigliano “Suite Numero 43. Ospiti speciali”. Un brivido lungo tutta la schiena.
Solitamente non accade che io dubiti del mio lavoro. Sono piuttosto sicuro dei miei cocktails, anche di quelli che preparo ad hoc per i nostri clienti più sofisticati.
Ma la #43 fa storia a sé.
È come un appuntamento al buio.
Con la lieve differenza che una ragazza alla peggio non la rivedi più, mentre se qualcosa và storto nella #43…beh…sei semplicemente fottuto. Come dire, un minimo di pressione la si avverte.
Il problema principale?
La Numero 43 ha SEMPRE “ospiti speciali”.

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Scendo con la mia personalissima “valigetta degli attrezzi” dal mio laboratorio artistico, il celeberrimo Radio RoofTop Bar al decimo piano, e mi dirigo in fondo al primo piano del Me Milan Il Duca.
Il livello lo conosco a memoria: fuori dall’ascensore mi accoglie una sedia rossa – un modello d’arte contemporanea  del designer Aldo Rossi – silenziosa e solenne.
Sulla sinistra, un quadro ispirato a Parigi.
Poi si gira a destra, fino in fondo al corridoio.
Non so chi mi aspetti dietro l’ingresso della #43, ma il primo indizio riesco a raccoglierlo prima di bussare.

Dalla suite sembra fuoriuscire un vago profumo, un tenue contrasto di fiori, piante esotiche, frutta.
Anche del fumo, sigari cubani probabilmente.
Attendo qualche istante prima di bussare: le voci dall’interno, maschili e profonde, stanno discutendo animatamente.
Toc toc. “Sono Marco, il bartender…”

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L’istante in cui si apre la porta è quello in cui percepisco che quelli sono clienti più “speciali” degli altri.
Il fumo è talmente denso che fatico a riconoscere i lineamenti di chi mi ha aperto e mi ha stretto frettolosamente la mano.
Ma è un fumo dal buon sapore. Tra le narici mi si incuneano odori di pompelmo e geranio, onnipresenti.
Poso le mie cose su un angolo del tavolo e osservo con la coda dell’occhio la situazione.

Un uomo alto, dai capelli radi e bianchi, magro e nobile nel portamento, sta fumando come una ciminiera.
Vicino al tavolo da biliardo confabula stretto con quello che sembra essere una sorta di collega, o partner d’affari.
Intercetto solo alcune parole. “Tempo”. “Petrolio”. “Discrezione”. “Concorrenza”. “Borsa”.
Qualcosa di “grosso” sta succedendo, anche se non ne intuisco la vera entità.
L’aura della Numero 43, ancora una volta.
Non ci sono altre “gemelle” della stessa grandezza, lusso, fascino. Imprevedibilità.

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Parlare il meno possibile. Fare finta di essere sordi. L’unica informazione che mi è stata data è “Alta finanza”, oltre ad un certo qual grado di segretezza della cosa.
Mentre tento di astrarmi da quella conversazione di cui dovrei sapere il meno possibile l’altro personaggio, un po’ sovrappeso e con un gessato nero a strisce bianche, mi rivolge bruscamente la parola. “Due cocktail grazie. Uguali per entrambi. Entrambi vincenti.”

Incrocio lo sguardo dei due tra le nuvole di fumo. Capisco che non sono colleghi.
Stanno trattando. Ora ne avverto la tensione. Solo quel profumo continua a trasmettermi una calma surreale.
Mi concentro su quegli odori così inusuali per la #43, e inizio. Vodka. Spremuta fresca di pompelmo. Uno dei miei frutti orientali preferiti, lo yuzu. Poi mi lascio ispirare dall’atmosfera “calda”, e inserisco nella ricetta improvvisata anche del miele e del pepe nero.
Ora i due clienti si sono seduti sul divano, continuando a parlottare fitti, quasi irritati. Il contrasto con le fotografie delle modelle sopra le loro teste mi fa sorridere.
“Non si dovrebbe mai desiderare troppo” – sento dire al più vecchio – “Perché si rischia sempre di ottenere quel che si desidera.”

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Shakero il tutto, confezionando perbene i due bicchieri – alti e stretti – che rifinisco con degli spruzzi di soda e degli spicchi di arancia. Cerco di farli il più identici possibili, stessa gradazione di ingredienti, stesso colore. Stesso profumo.
A preparativi ultimati sollevo il vassoio e chiedo con rispetto se posso avvicinarmi.
Il più vecchio annuisce, facendomi segno con la mano.
Hanno interrotto il dialogo, sembrano stremati e attenti solo ai miei movimenti, come due vecchi felini ancora a caccia.
“Non lo disse ad alta voce perché sapeva che a dirle, le cose belle non succedono.”

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Sollevati da quella pausa afferrano in contemporanea i drink, ma non brindano, portandoli direttamente alle labbra.
Non si guardano.
Solo dopo due lunghi e silenziosi sorsi tornano a rivolgersi la parola.
I toni sembrano più distesi, i movimenti più amichevoli. Quasi rilassati.
Il sigaro dell’uomo in gessato si sta lentamente consumando nel posacenere.
Mi congedano, ringraziandomi.
Sembrano sorridere, è la prima volta da quando sono entrato che non li scorgo con le sopracciglia aggrottate.

Li ringrazio a mia volta, salutandoli.
Raccolgo le mie cose, provando invano a capire da dove arrivi quel profumo.
Esco dalla Numero 43, l’adrenalina che pompa nelle mie vene e il cuore dai battiti irregolari.
Mi lascio alle spalle la porta, ma non resisto al richiamo ancestrale della curiosità.
Prima di richiuderla del tutto, lancio un’ultima occhiata dalla fessura.
Stanno ancora sorridendo, la mano destra tesa l’uno verso l’altro.
Non saprò mai i loro nomi.
Ma forse loro ricorderanno il mio cocktail #43.
“Ogni giorno è un nuovo giorno.”

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“Fabi Essence #43 – MIND AND SPIRIT” narrated by Michele Pettene

Quotes from Ernest Hemingway