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21/07

THE FABI ESSENCES DIARIES #65

“Noi prendiamo una manciata di sabbia dal panorama infinito delle percezioni, e la chiamiamo mondo.”

20 Luglio 2017, un Giovedì di meditazioni

Suite #65 – Hotel ME Milan Il Duca, piazza della Repubblica 13

Fino a qualche anno fa prendevo in giro chi mi parlava di “ritrovare se stessa”.
Cazzate.
Non avevo tempo da perdere dietro a certe filosofie.
Viaggiavo alla velocità della luce, sulla rampa di lancio di una carriera che avevo sempre sognato.
Rapida, come un felino notturno.
Passi tanto raffinati quanto spietati, decisi.
Ma ero incompleta. La mia imperfezione quotidiana mi irritava.
Mi mascheravo, a me stessa e al resto del mondo, alimentando la mia irrequietezza.
Volevo la luna, e la volevo subito.
Poi, un pomeriggio di Primavera, mentre camminavo tra le stradine milanesi, ho fatto un incontro.
Un aroma di Pesca e Peonia. Pungente, particolare, magnetico.
E ho deciso di seguirlo.

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Un cancello. A dieci minuti a piedi dal Naviglio Grande, sotto il parco Baden-Powell.
Dietro, qualcosa me lo diceva, stava l’origine di quel profumo.
Ho suonato, e il cancello si è aperto.
È così che sono entrata per la prima volta nel Monastero Zen “Il Cerchio”: il mio mondo non sarebbe stato più lo stesso.
Ero lì, ancora sbigottita nell’aver trovato un piccolo tempio buddhista in una via secondaria di Milano, che non mi sono accorta di quel piccolo pesco, l’origine di Tutto.
Da quel fortunato giorno, e in un breve spazio temporale, ho appreso più cose su me stessa di quante pensavo di averne capite in tutta la mia vita precedente.
“Voleva liberarsi della sua propria immagine, perché il fantasma era ciò che lei era, e Lei voleva essere libera dai vincoli della sua stessa identità.”

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“Continuiamo ad attraversare, inosservati, momenti della vita di altra gente.”
Questa, e tante altre frasi all’interno di meditazioni guidate, spalancarono le porte della percezione alla sottoscritta, una che amava definirsi con discreta arroganza “l’imprenditrice del proprio successo”.
Divenne presto una droga, la più positiva possibile.
Il Tempio Buddhista Lankarama, vicino a Viale dei Missaglia, e le conversazioni con monaci e persone di una serenità semplicemente superiore. Il Centro di Studi Tibetani “Mandala”, in Piazzale Siena, tra lezioni sull’autoconsapevolezza e feste tradizionali e corsi di yoga. Letture, proiezioni, canti. Cene condivise in ristoranti thailandesi, come quello di Porta Genova, “Bussakaram”. Viaggi in Giappone, India e Tibet.
Più approfondivo e più volevo ampliare la mia conoscenza.
E in tutti i luoghi dove andavo il solito, inconfondibile ed invisibile filo comune: il profumo di pesche e peonie.

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Ho cercato gradualmente di far entrare questa dolce esplosione di tranquillità interiore nel mio cuore.
Ci sono riuscita? Lo credevo, ma la frenetica routine giornaliera è una bella tigre da addomesticare, e spesso è riuscita ad avere il sopravvento.
Che è un po’ la ragione per cui mi sono rifugiata al ME Milan Il Duca, in questi giorni.
Per ritrovare una pace che avevo scorto, ma che poi come la sabbia mi è di nuovo sfuggita tra le dita.
Non so il perchè, ma le sensazioni di questo posto, di questa camera, sono sempre state diverse, amplificate.
Credo sia la miscela di colori e design, oltre che l’estrema intimità e rispetto degli spazi che si percepisce. O forse è lo stesso aroma di quel giorno: lo sento ad ogni angolo, terrazza, corridoio.
Non è solo un profumo, è un’idea in cui mi rifugio, in momenti come questo.

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Salgo al Radio RoofTop Bar dell’hotel, una delle mie attività preferite.
Qui è difficile non incontrare Madama Serenità, così sfuggente ultimamente. Basta sedersi su uno dei divanetti, lasciar scorrere lo sguardo su tutta Milano e spingersi con la mente ancora più in là, cullati da musica e lievi, tiepidi folate portate dal divìn Eolo.
Sospiro, e nel farlo ritorno a contatto con la “mia” fragranza. Sembra stranamente molto vicina.

Ne capisco il motivo pochi secondi dopo. Marco Dognini, il premuroso bartender, mi ha ascoltato paziente per tutto il tempo, sorridendo, porgendomi domande, annuendo.
E nel frattempo si è messo al lavoro, con la promessa di farmi un cocktail cucito su misura per le mie corde vitali che da tanto stanno vibrando, di nuovo inquiete.
Lo chiama “Numero 65”, come la mia suite. E me lo porge con garbo, appoggiando delicatamente sul flute un fiorellino viola.

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Lo porto alle labbra, bagnandomi bocca e lingua con un mix sorprendente di champagne e vodka infusa al the di gelsomino. Il profumo della pesca è intenso, quello di alcune spezie orientali pure.
“Com’è?” mi chiede Marco tra l’incuriosito e il divertito.
Mi prendo qualche secondo prima di rispondergli.
Quel sapore, quell’infusione delicata che sta conquistando il mio stomaco…possibile sia proprio quel richiamo che cercavo da tempo?
“Perfetto…” riesco a malapena rispondere.
Mi porto verso la balaustra, perdendomi nell’infinito delle luci notturne.
Ritrovare se stessa grazie ad un cocktail.
“Alcune cose ci sfuggono perché sono così impercettibili che le trascuriamo.”
Chi l’avrebbe mai detto?

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“Fabi Essence #65 – FAR AND WIDE” narrated by Michele Pettene

Quotes from “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”

13/07

THE FABI ESSENCES DIARIES – #58

“Tu saresti capace di scegliere una cosa, una cosa sola e di essere fedele a quella? Riuscire a farla diventare la ragione della tua vita, una cosa che raccolga tutto, che diventi tutto proprio perché è la tua fedeltà a farla diventare infinita. Ne saresti capace?”

12 Luglio 2017, un Mercoledì diverso

Suite #58 – Hotel ME Milan Il Duca, piazza della Repubblica 13

Quattro.
Sempre noi quattro.
In giro. Seduti. Su treni, aerei, navi.
A Milano, o in qualsiasi altro posto. Siamo sempre in quattro.
C’è Vittorio, con quell’andamento perennemente stanco, affaticato. La schiena ricurva. Lo sguardo spietato.
C’è Giulia, da sempre unica donna del quartetto. Bellissima, nel suo procace pallido candore, le labbra rosse, i capelli corvini. Contesa da tutti noi da sempre. Povera, santa Giulia.
C’è Riccardo, riccioluto e brizzolato, un beffardo sorriso dipinto sul volto, accada quel che accada.
E poi ci sono Io. Marcello. In giacca e cravatta nere.
Scarpe lucide, come il cappello nero a tesa larga. La nostra armatura, Giulia esclusa.

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È sera, sul Naviglio Pavese. I tacchi vertiginosi hanno tenuto Giulia un po’ indietro.
Dice che il nostro profumo si sente forte, triplicato, anche a venti metri di distanza.
Come sempre del resto: è il nostro tratto distintivo, di cui più siamo orgogliosi. Una ricetta segreta, antica, di un maestro artigiano amico di Vittorio. Ci regalò la fragranza dell’amicizia eterna tanto tempo fa, agli inizi di tutto.
Rispondo a Giulia di recriminare in modo più originale. E di non mostrare la sua gelosia per il nostro aromatico, invisibile legame: non è cosa buona e giusta, per una donna della sua classe.
Uso Giulia come pretesto, mentre trascino la mia custodia con il mio amato basso a riposare.
C’è un po’ di tensione tra noi, il concerto non è andato come volevamo.

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Ospiti al “Nibada”, clamorosa location per la live music milanese poco distante dalla Darsena, non siamo mai riusciti a trovare il groove giusto.
Giulia non ha cantato come suo solito, ovvero un’Aretha Franklin nata alla Mangiagalli.
E Riccardo, ultimo in ordine di tempo ad essersi preso una cotta, è stato male per Lei.
Non un affarone, se è leader e “guida” del tuo ritmo con la sua batteria.
Le parole sono volate senza filtri nel dietro le quinte. Cose che non si dovrebbero mai dire ad un fratello.
“Miei cari, la felicità consiste nel poter dire la verità senza far mai soffrire nessuno” avevo detto in tempi più sereni.
Ho ordinato del whisky per placare gli animi: il profumo che ne è uscito ci ha ricordato lontanamente il nostro legame. Ma la formula magica, sprigionata nell’etere dai nostri movimenti bruschi, mi è sembrata ancora lontana.

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Perlomeno, quella ventata inebriante dal vago sapore di mirra e Fernet mi ha portato alla mente i giorni di Gloria, su quelle stesse strade. Il duetto da pelle d’oca di Giulia e i suoi ululati con la chitarra di Vitto alla “Birreria Bonaventura”. La prolungata standing ovation a “La Salumeria della Musica”, giusto poco più in giù, verso Viale Ortles, quando un Ricky non ancora innamorato aveva picchiato i suoi tamburi in assoli da far esplodere il cuore. “Se invece di buttarle via si leggessero qualche volta le carte dei cioccolatini, si eviterebbero molte illusioni.” ci aveva detto uscendo…ironico, a ripensarlo ora.
In Piazza XXIV Maggio – con la mente che corre ai bei vecchi tempi de “La Buca” in Via San Vincenzo – chiamo un taxi. Conosco un posto che può riallineare le nostre essenze: dico ME Milan Il Duca, grazie”. E sorrido, fiducioso.

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In quindici minuti che sembrano durare un secolo arriviamo in uno dei posti più taumaturgici che conosca, in questa città che di notte sembra essere preda della tromba di Miles Davis.
Entriamo dall’ingresso principale, i miei compagni sono perplessi. E non si parlano.
Ma l’eleganza del design del “ME” sembra iniziare a sedurli: saliamo le scale a ricciolo, apriamo la porta a vetro e “STK MILAN” – una delle steakhouse più affascinanti di Milano – si apre davanti a noi.
Ci portano in un tavolo separato dagli altri. Intimo, le luci soffuse. Meglio, gli sguardi irritati si scorgono solo nei bagliori delle candele.
Al resto ci pensano la carne deliziosa e le strepitose bottiglie di rosso.

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Giulia, l’unica apparentemente non irritata, ci osserva con amore. Sa delle nostre cotte per Lei. Impossibile tenere il broncio in un’atmosfera simile, e le prime battute tra Vittorio e Riccardo stemperano gli animi, riavvicinandoci.
La cena è straordinaria, una festa per i muscoli e per il cuore, mentre la chitarra acustica di sottofondo sembra cucita su misura per rilassare i nostri nervi.
La fragranza della nostra amicizia torna a farsi viva, pure Giulia se n’è accorta!
Manca solo un elemento. Chimico, intangibile, fatato.

E poi…voilà! Da dietro il bancone il bartender si muove con un vassoio.
Sopra quattro cocktail, tutti uguali. Divertenti, pittoreschi, originali. Ci sono persino dei dollari sorretti sui bordi, a corredo.
Il loro creatore si presenta: “Marco Dognini, il piacere è tutto mio.”
“Vi ho visti un po’ silenziosi, da laggiù. Quando sono qui – con questo sapore attorno – e mi voglio tirar su, mi preparo un #58. Un cocktail speciale. Mi sono permesso di dedicarvelo, sperando possa avere su di Voi lo stesso effetto.”

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Ci guardiamo stupiti ma contenti. La sorpresa è decisamente gradita, e Vittorio vuole addirittura brindare. Il miracolo è completo, ed ora la miscela che avvertiamo nelle papille gustative e su su su fino alle narici e al cervello è completa.
Il Numero 58, quindi. E il cerchio sembra chiuso.
Ringraziamo di cuore Marco dopo la bevuta, chiedendogli i segreti di tale incantesimo.
Lui ci guarda, ma non dice nulla. Solo un “5″ e un “8″ con le mani, prima di svanire nella penombra.
Le emozioni sono forti, vogliamo rimanere in un posto che è già riuscito a darci così tanto.

Prenotiamo la suite #58, naturalmente.
Abbracciati, con Giulia ad intonare un vecchio canto popolare francese, andiamo nella nostra camera.
Perfetta, con un misto di grigi e beige, pare quasi invitare a coricarci nel matrimoniale.
Li abbraccio forte, tutti insieme, i livori svaniti nel nulla.
È rimasta solo quella scia nell’aria, e un lampo di felicità mi fa tremare e mi ridà forza.
Alcuni la chiamano Vita.
Noi, semplicemente, Amicizia.

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“Fabi Essence #58 – WAYS AND MEANS”
 narrated by Michele Pettene

Quotes from “8 1/2″ di Federico Fellini

30/06

THE FABI ESSENCES DIARIES – #68

“Ma sognare è un fiume profondo, che precipita a una lontana sorgiva, ripùllula nel mattino di verità.”

29 Giugno 2017, un Giovedì di nuvole

Suite #68 – Hotel ME Milan Il Duca, piazza della Repubblica 13

Se mi chiedessero il profumo della passione non avrei esitazioni: la pura, infinita dolcezza dei frutti tropicali.
Il sapore intenso della polpa della maracuja.
Come faccio ad esserne così certo?
Beh, cari amici, quando fate un lavoro come il mio, le passioni s’imparano a riconoscere nell’aria, come invisibili ali d’angelo.
Tutte diverse, eppure tutte accarezzate dalla Grazia.
E io me le ricordo tutte. Nessuna esclusa.

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È facile riconoscerle.
Si sprigionano quando i corpi, i cuori che le generano sono finalmente lasciati liberi di esprimersi, di essere se stessi.
Come tra i corridoi fatati dell’Hotel Me Il Duca Milano dove mi trovo in questi giorni, ed i cui illustri ospiti sono spogli di quelle corazze obbligate dall’esterno ostile.
In questi ambienti così intimi, sofisticati, eleganti è impossibile incontrare ospiti molesti.

È tra queste atmosfere che ci si può lasciar andare, svelando un’essenza negata al pubblico avido là fuori.
Ed io, acuto osservatore della variegata natura umana, non aspetto altro, facendomi trovare casualmente puntuale nei salotti dell’hotel.
Mi ci tuffo, in quelle improvvise confessioni involontarie. Per capire caratteri, comprendere intelligenze, svelare bluff sbruffoni.
Per poi narrarli, ça va sans dire[strizzatina d'occhio]

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Non vi svelerò il mio nome completo, ma diciamo che tutti mi chiamano Gianni Brera. Non Quel Gianni, ma non del tutto differente.
Sono un orgoglioso figlio del Po, delle rive padane e delle sue terre, dei suoi boschi. E sono un giornalista, forse uno scrittore.
Oppure, come diceva un’amica poco tempo fa, sono un semplice cantastorie: di speranze, sogni e delusioni.
Le stesse che proprio in questi momenti mi stanno torturando.
Qui, nella numero 68, stanza divina e solitaria, davanti all’amata ed inseparabile ”Lettera 62″, la mia piccola macchina da scrivere rosso fuoco.

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Fatico – inusuale per me – a battere i tasti con gran ritmo. L’intento, forse troppo ambizioso, mi sta lentamente abbattendo.
Raccontare le storie di sport, passioni, aspirazioni e cadute più affascinanti e misteriose che abbia mai incrociato tra queste mura.
Un’impresa titanica, e un’ispirazione sempre più lieve.

Ho deciso, meglio prender una boccata d’aria, chissà che questa Milano stranamente quieta non mi tenda una mano.

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Salgo sull’ascensore, facendomi trascinare fino al decimo piano e al Radio Rooftop Milan. Le energie completamente risucchiate dal tentativo di scrivere qualcosa di decente.
La vista da quell’altezza e da quella posizione sono paradisiache, anche a notte inoltrata.
Tra me e me penso che se esistesse un posto dove ritrovare l’ispirazione perduta, sarebbe questo.

Osservo la mia città dall’alto. Ripercorro con il pensiero e i miei sogni ad occhi aperti i posti e le persone. I ricordi più memorabili, gli incontri indimenticabili.
Sono solo sulla terrazza, i gomiti appoggiati al bordo.
I rumori del traffico mi arrivano come da un’altra galassia, o come diceva il grande Carlo “il flusso continuo dei taxi, sul viale maggiore, pareva la vana furia degli uomini, che ad ogni costo volesse arrivare a una fine.”

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Il silenzio mi circonda, provando a cullarmi in sintonia con la colonna sonora scelta dal dj: sequenze lunghe, instrumental, dai suoni naturali.
Una lieve brezza trasporta il mio flusso di coscienza tra i grattacieli di Gae Aulenti e i tetti dei Navigli, facendomi ripercorrere locali celebri e bisbiglii che molti avrebbero pagato oro per udirli. Portandomi nelle piccole vie davanti all’Arco della Pace, dove si programmava la conquista del (proprio) mondo.
Lì, osservati a vista dalle “Quattro Vittorie a cavallo” sulla cima trionfale del monumento, ci si sentiva allo stesso tempo minuscoli e giganteschi.
Pronti per la Gloria eterna o inadeguati, incapaci di afferrarla.

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D’un tratto sento toccarmi la spalla.
La prima cosa che il mio sguardo incontra è uno splendido calice. Un cocktail sfumato in giallo. Un piccolo fiore nel mezzo. Delle alghe marine da contorno.
Marco Dognini, il bartender del Radio Rooftop Milan, mi dice che era da tempo che mi stava osservando.
Afferma che il cocktail #68 è quello che fa per me.
Affabile ma sicuro di sé, con un look curato dalla punta delle scarpe in pelle alla camicia, Marco ispira fiducia.
La serata giusta per incontrare un tipo così.

Mi apro, senza filtri, raccontando del mio blocco.
Bevo, fondendo i miei problemi in quei sapori esotici e in quel retrogusto particolare, di zafferano e mirto sardo.
Il rum mi riscalda la testa, mentre il dialogo sale di tono.
Marco mi inonda di aneddoti, personaggi, scene vissute da testimone oculare. Invisibile ed imparziale, da dietro quel bancone.

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Parliamo per ore, e mi sento come rinascere, tornando a respirare dopo essere stato per un tempo indefinito in apnea.
Le sue storie iniziano a diventare mie: vittorie ed insuccessi, amicizie e confidenze.
Calciatori famosi, artisti, cantanti, soubrette dell’ultima ora. Fallimenti, aspettative, percorsi.
Tutto alla velocità della luce, re e regine del carpe diem, dell’istante più infuocato dei tanti vissuti dal Radio Rooftop Milan.

Ringrazio Marco, sembra sfinito pure lui. Ci congediamo con un abbraccio prolungato.

Torno solo, ma le idee hanno ripreso a scorrere: ora so da dove ripartire, che cosa seguire.
Sì, è tornato a farsi sentire. Vivace, pungente, inebriante.
Il profumo della passione.
Una notte come un’altra, al Me Il Duca Milano.
Ma potrebbe essere stata quella decisiva.

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“Fabi Essence #68 – HOPES AND DREAMS” narrated by Michele Pettene

Quotes from Carlo Emilio Gadda

 

28/06

La prima edizione della Fabi Academy

E’ in corso di svolgimento nel nostro HQ di Monte San Giusto la prima edizione della FABI ACADEMY.

E’ un progetto in cui crediamo molto, che diventa parte integrante della nostra realtà.

Fabi Academy vuole formare una precisa categoria di sales persons fatta di persone /uomini “catalizzatori sociali” che, una volta terminata la loro esperienza nel nostro headquarter di Monte San Giusto (MC) continueranno autonomamente il loro impegno all’interno delle rispettive realtà professionali, con una consapevolezza diversa sulla nostra realtà e i nostri prodotti.

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Fabi Academy vuole essere un workshop transdisciplinare, in cui le esperienze di vendita si relazionano con altri contesti importanti come la produzione, l’ambiente, le scienze sociali, le tecniche di comunicazione, e resta vigile attento sui cambiamenti del mondo contemporaneo attraverso un’intensa attività di monitoraggio del consumatore.

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Il workshop di Fabi Academy che ha preso il via ieri, affronta tutte le tematiche legate al ciclo produttivo con visita e approfondimenti alla filiera nonché esercizi, laboratori singoli e di gruppo per implementare e raffinare i fattori motivazionali e le tecniche di vendita assistita.

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Individuazione dei bisogni, comunicazione di prodotto, gestione delle obiezioni sono solo alcune degli aspetti che la Fabi Academy affronterà nel corso di queste due giornate in azienda.

22/06

The Fabi Essences Diaries – #73

“Un tempo, quando uno aveva un segreto da nascondere, andava in un bosco. Faceva un buco in un tronco e sussurrava lì il suo segreto. Poi richiudeva il buco con del fango, così il segreto sarebbe rimasto sigillato per l’eternità”

21 Giugno 2017, un Mercoledì sera 

Suite #73 – Hotel ME Milan Il Duca, piazza della Repubblica 13

Uhmmm…Profumo di Gelsomino?
Lo avverto nitidamente, ma non ne capisco l’origine.
Chiudo gli occhi, gli altri sensi diventano più acuti.
Ma è un errore, perchè mi viene subito in mente Lei.

“I ricordi sono sempre bagnati di lacrime” diceva il mio amico Tony. Aveva ragione.

Li riapro. Sono ancora vivo, in piedi.
Esco e seguo la scia del profumo, sembra essersi fuso con quello di una rosa. Ma sta svanendo.
Per strada, sui marciapiedi, lo perdo completamente e la sensazione di smarrimento mi risveglia.

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Vogliate scusarmi, ancora non mi sono presentato: Filippo Tommaso Marinetti, non quel Marinetti ma quasi. Il piacere è tutto mio.
Con Milano ho un rapporto particolare, d’amore e repulsione, ma oggi gli astri mi sono favorevoli.
Complice il tramonto, suppongo.
Alzo gli occhi verso la skyline di Porta Nuova: ai miei compari del Manifesto futurista sarebbe piaciuta molto questa città nel 2017.
Siamo pur sempre gli stessi che hanno affermato orgogliosi “Un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia!”

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Ancora quel profumo. Mi immergo nel quartiere Isola per togliermelo di testa, e per un po’ il tentativo riesce.
Amo alla follia questa zona, le vibrazioni che trasmette.
D’inverno il Blue Note poco distante è il classico luogo senza tempo dove m’immergo scomparendo dal Presente, rigenerandomi nelle improvvisazioni dei quartetti jazz.
D’estate Via Borsieri e le altre stradine s’infiammano, come una Siviglia settembrina, tra locali con musica dal vivo che ti stravolge il ritmo dei passi e giovani di mezz’Europa uniti dall’affetto per la vita, il dialogo, la condivisione di pensieri e passioni.
Era da queste parti che l’avevo conosciuta, non troppo distante dal Deus Café.
Le mie gambe mi hanno ricondotto esattamente allo stesso angolo di strada.

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Lei non  c’è, ma ne avverto la presenza quando una folata di vento caldo – che si è fatto strada tra quella meraviglie architettoniche chiamate Bosco Verticale - mi riporta sotto le narici gli odori che mi avevano catturato. Proprio me, animale indomabile abituato ad una vita da seduttore, il re delle avventure di una notte.
Avevo imparato ad apprezzare il valore delle cose effimere come mi aveva insegnato il mio mentore Wong Kar Wai, e poi le avevo dimenticate solo per poterLe piacere.
Mi giro, vagabondo a vuoto. Quell’aroma agrumato, arance, limoni, felicità, pompelmo…ah, come ritrovarlo?
“Seguimi, ti aiuto io.”
Mi sento stringere la mano destra, ma la luce degli ultimi raggi solari filtrati dalla guglia del grattacielo Unicredit mi scherma la vista.
So che è Lei, ma non la posso riconoscere.

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Camminiamo, corriamo anzi, fino a Via Marco Polo, davanti a quella maestosa opera d’arte d’altri tempi del Mastro Architetto Aldo Rossi, un buon amico dalla mente geniale: ancora l’Hotel ME Milan Il Duca. La mia lingua è bloccata, non pronuncia parole. Ma sento il cuore palpitare forte in gola.
Continuo a seguirLa, fidandomi.
Saliamo, dall’ingresso privato del Radio Rooftop Milan, al decimo piano.
Ancora non capisco, sono disarmato, io il difensore supremo dell’atteggiamento aggressivo, della bellezza della velocità.
Mi fa sedere sulla terrazza, dice che si assenterà. Poi, come la peonia si tende verso il cielo, si alza e si allontana senza dare risposta.
Per un attimo riesco a perdermi nel sublime paesaggio milanese, mentre una figura elegante, dietro al bancone della lounge, parla con Lei.
Lui, il famigerato bartender del Radio Rooftop Milan Marco Dognini, Lei. Ed Io.
Parlottano concentrati, Marco ha annuito e con movimenti decisi ma delicati si è messo all’opera, impeccabile in quel suo stile raffinato ma misurato, libero.
Mi volto verso Porta Nuova, attendo qualcosa che non so. Attorno a me tutti sembrano ignari della mia tempesta interiore, si godono il momento, la vista, la compagnia, il luogo. Una pace che fatico a trovare.

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Quando mi rigiro Lei è, seduta di fronte a me.
Mi porge un cocktail di Marco, mentre lei solleva il suo. Il “Numero 73″.
Brindiamo, senza dire una parola, senza dire a chi o a cosa.
La guardo negli occhi, è rilassata, sorridente.
Quando si sistema i capelli dietro le spalle, spostando un’invisibile frammento d’aria, il suo profumo torna ad avvolgermi completamente, come la prima volta.
Ancora quella rosa, il ribes, la sensazione agrodolce.
In lontananza scorgo Marco, incrocio il suo sguardo.
Sorseggio il bicchiere, i sapori del suo capolavoro liquido ripercorrono la strada delle mie emozioni, fondendosi con il Suo profumo.
Poso il cocktail.
Finché non si rinuncia si può sempre sperare.

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“Fabi Essence #73 – EVER AND ALWAYS” narrated by Michele Pettene

Quotes from “2046″ by Wong Kar Wai

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