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14/07

Le Marche, terra di tradizione gastronomica

Le Marche vantano una tradizione gastronomica fatta di ingredienti semplici e genuini, di sapori unici, di tempi peculiari. Grazie alla conformazione del territorio, dominato dai monti e affacciato sul mare, la cucina marchigiana è molto varia e alterna pietanze dai sapori forti e decisi, prevalentemente a base di carne, a piatti a base di crostacei, pesce azzurro e frutti di mare.

Una vacanza nelle Marche non è completa se non si assaggiano almeno una volta le principali eccellenze del gusto tra le quali: il Salame di Fabriano Presidi Slow Food conosciuto in tutto il mondo e citato persino da Giuseppe Garibaldi nelle sue lettere e il Ciauscolo diffuso soprattutto a Visso e nel maceratese e iscritto nel registro comunitario delle indicazioni geografiche protette (IGP). Da non dimenticare, i famosi Maccheroncini di Campofilone IGP, i quali si distinguono dalle altre paste alimentari perché sono ricchi di Omega3 e vitamine, vanto del Made in Marche in tutto il mondo e i vincisgrassi, piatto storico e ricetta della seconda metà del Settecento dove la caratteristica pasta fatta in casa è composta da sfoglie a strati farciti di carne, funghi e besciamella, nelle due versioni anconetana e maceratese.

Un prodotto decisamente eccellente proveniente dalla terra marchigiana è l’Olio Extravergine di Cartoceto DOP, la cui coltivazione collegata alla molitura delle olive ha origini antichissime. La qualità dell’olio è inscindibilmente legata all’oliva. Molto pregiata è

l’ Oliva all’ascolana DOP, che è ritenuta la migliore oliva verde da tavola. Il suo habitat naturale è vicino ad Ascoli Piceno. Nel mondo è nota, oltre che in salamoia, nella versione farcita e fritta “all’ascolana”.

Le Marche sono note anche per la coltivazione dei tartufi, sia bianchi sia neri e sono una delle poche regioni italiane a vantare una buona produzione di tutte le principali specie di tartufo. Zone tipiche del tartufo sono l’entroterra della provincia di Pesaro e Urbino, parte di quello di Ascoli Piceno, Fermo, Macerata ed Ancona. Il più pregiato dei tartufi è il Tartufo Bianco (tuber magnatum Pico). Si trova a Sant’Angelo in Vado e Acqualagna, in provincia di Pesaro e Urbino, ma è presente anche nelle altre province. In generale, il periodo di raccolta va dal 1 ottobre al 31 dicembre. Il tartufo nero (tuber melanosporum) matura da metà novembre a metà marzo ed è diffuso soprattutto ad Acqualagna, Cagli, Acquasanta Terme, Roccafluvione, Comunanza, Montefortino, Camerino e Visso. Sono tipici il Bianchetto o Marzuolo (tuber Borchii), raccolto a fine inverno a Fossombrone e un po’ ovunque e gli scorzoni d’estate e d’inverno (tuber aestivum e tuber uncinatum chatin). Oggi i tartufi vengono coltivati con particolari tecniche; si producono infatti piantine tartufigene che sono usate per rimboschimento e tartufaie coltivate. Ad Acqualagna (PU), che vanta una tradizione secolare nella produzione di tartufi, è cresciuta notevolmente l’attività di conservazione e commercializzazione, tanto che proprio in questo paesino si organizza la Fiera Nazionale del Tartufo che si svolgerà nelle giornate del 25 e 31 ottobre e 1,2,7,8,14 e 15 novembre 2015. La fama e il target qualitativo dell’evento richiama ormai anche produttori nazionali e internazionali che vengono selezionati e mostrano e vendono solo il meglio della propria produzione di nicchia. Insomma un salone del gusto firmato qualità ma soprattutto tradizione, storia e sapore autentico. Dal 1980 a Sant’Angelo in Vado (PU) è in funzione un centro sperimentale per la tartuficoltura e ogni anno si organizza la Mostra Nazionale del Tartufo Bianco (i fine settimana del mese di ottobre e novembre 2015), che mette in mostra le più belle varietà ed esemplari raccolti nelle Marche. A Pergola (PU) il 4,11, e 18 ottobre 2015 si svolgerà la Fiera Nazionale del Tartufo Bianco Pregiato che tornerà a brillare nelle vie principali della città, attraverso una lunga mostra-mercato di specialità enogastronomiche arrivando sino al Museo dei Bronzi Dorati, con oltre 2 chilometri di espositori di prodotti tipici. Ad Amandola (FM) si festeggia con Diamanti a tavola, mostra mercato del tartufo bianco pregiato dei Sibillini e dei prodotti tipici, primo fine settimana di novembre.

Le tipicità gastronomiche si accostano molto bene con il famoso Verdicchio, vino prodotto nella zona di Jesi, nella valle dell’Esino, nelle colline maceratesi vicine a Matelica e fino al comune di Fabriano, in provincia di Ancona.

Non si può non tornare a casa senza aver degustato la vasta gamma di liquori offerti da Anisetta Meletti ad Ascoli Piceno e dalla Distilleria Varnelli a Muccia. L’Anisetta Meletti nasce ad Ascoli Piceno nel lontano 1870, per opera di Silvio Meletti, che dopo una lunga serie di studi nel campo della distillazione, di ricerche, crea un meticoloso processo produttivo che gli permette di ottenere un prodotto unico nel suo genere. Assodato che il gusto delicato proveniva dalla qualità dell’anice, accuratamente coltivato in determinati terreni, situati attorno ad Ascoli Piceno, nasce l’Anisetta, liquore a base di anice.

Fondata nel 1868 grazie all’esperienza di Girolamo Varnelli, la Distilleria Varnelli è la più antica casa liquoristica marchigiana. La sede produttiva è a Muccia in provincia di Macerata. L’azienda si è sviluppata mantenendosi sempre vivace e attenta alle esigenze del mercato senza mai alterare la qualità e il valore intrinseco dei prodotti.

Si ringrazia La Regione Marche

01/07

Elisio Fabi: “Vi racconto la nostra Storia” II parte

Per arare avevamo bisogno di tre paia di mucche: il primo paio era attaccato all’aratro e lo guidava mio padre; il secondo mio fratello o mia sorella; il terzo paio lo portavo io. Con l’avvicinarsi delle sette del mattino, iniziavamo tutti a voltare gli sguardi verso casa per vedere se la mamma stesse venendo a portarci la colazione. Quando poi lei arrivava con la cesta in testa, stendeva la tovaglia a terra e ci posava il pane, quasi sempre accompagnato da zucca cotta con pancetta e un frutto di stagione.

Poi si ricominciava subito a lavorare ed io chiedevo sempre a mio fratello quando avremmo finito; lui conficcava la vanga in un punto del terreno e mi diceva: “Quando arriviamo qui smettiamo.” Ma non era mai di parola. Quando raggiungevamo la vanga, lui puntualmente la spostava più in là; io mi arrabbiavo e piangevo; avevo dieci o dodici anni. La pietà a quei tempi non esisteva. Quando tornavi a casa, dopo il duro lavoro nei campi, bisognava ancora accudire le mucche, i maiali, le pecore e i conigli.

Un giorno scoprimmo un vespaio.

All’improvviso un nuvolone di vespe era sbucato dal terreno, lanciandosi prima tra le gambe di mio padre per poi attaccare le mucche, me e mia sorella. Non so quante vespe abbiano punto tutti noi, ma erano così tante che non riuscivamo a sganciare le mucche dall’aratro. Ci è voluto tutto il coraggio e il sangue freddo di mio padre e comunque dovemmo aspettare che facesse sera, affinché le vespe tornassero nel loro nido, per ucciderle e riprendere possesso del nostro aratro, che era rimasto sul campo.

Vi domanderete come abbiamo fatto a sterminare circa duemila vespe; semplicissimo! Abbiamo preso un imbuto, un secchio d’acqua bollente e l’abbiamo rovesciato nell’apertura del vespaio. Come potete vedere, i contadini sapevano sempre come difendersi.

Nel 1952 mia sorella Viola si sposò, così in casa ci ritrovammo con due braccia in meno per lavorare. La vita dei campi era sempre uguale, si lavorava 15-16 ore al giorno senza mai vedere una lira e i conti tornavano sempre al padrone.

E arrivammo al 1956.

M padre soffriva di ulcera gastrica, tanto che decise di operarsi, cogliendo l’occasione che mio fratello Enrico era tornato in convalescenza dal servizio militare. Era dicembre e lui decise di andarsi ad operare a Sant’Elpidio a Mare; non l’avesse mai fatto. Il 19 dicembre del 1956, a soli cinquant’anni, mio padre morì per incuria dei medici. Non potete immaginare il dolore e la disperazione di mia madre e di noi tutti. Eravamo rimasti in tre per dieci ettari di terra, senza soldi e senz’altro.

Per pagare il funerale dovemmo vendere quel po’ di grano che ci sarebbe servito per vivere fino al giugno successivo. Sapeste che dolore provai la mattina che mio cognato Alessandro mi riportò a casa, dopo che avevo pernottato da un vicino.

Arrivammo alle sei del mattino, era buio pesto e faceva freddo, mio cognato non aveva avuto il coraggio di dirmi che mio padre era morto. Quando arrivai sotto la finestra della camera di mio padre, sentii che la casa era piena di gente che recitava il rosario; a quel punto capii tutto e svenni.

Avevo esattamente tredici anni.

12/06

Elisio Fabi: “Ma prima vogliamo dirvi della storia della Famiglia Fabi e delle sue origini contadine”

Mio padre, Flaminio Fabi, era nato a Montegranaro il 16 gennaio 1906, mia madre, Gentilina Contenti, era nata sempre a Montegranaro il 9 maggio 1909. I miei genitori si sono sposati nel 1929, l’anno della grande neve e della depressione. Entrambi erano contadini, ma mio padre era a mezzadria e ci è rimasto fino al 1956, anno della sua morte; mia madre invece era una coltivatrice diretta e c’era una notevole differenza: mentre mia madre aveva un piccolo podere di proprietà di famiglia, mio padre coltivava una terra non sua e aveva un padrone, un certo Sor Mario Botti di Monte San Giusto. La terra di questo signore l’abbiamo comprata noi nel 2000 per costruire la fabbrica dove siamo ora.


ELISIO-FABI-(Bn)
Pensate un po’ come gira il mondo, chi poteva immaginare alla morte di mio padre che dopo cinquantaquattro anni, avremmo comprato un terreno di Sor Mario Botti? Nessuno, era assolutamente impensabile. Questo mi fa dire che nella vita non bisogna arrendersi mai; si deve lavorare sempre e credere in ciò che si fa…..

Fin da piccolissimo, ricordo che si mangiava quello che la terra produceva, al mattino polenta o polentone, a pranzo fagioli o ceci e alla sera erbe cotte con un po’ di lardo; la cosa importante, però era che prima di consumare questa poverissima cena, bisognava recitare il rosario. Ancora oggi ricordo quella volta che mio padre Flaminio non finiva mai di pregare ed io, che quella sera avevo tanta fame, protestai. Papà, che era in ginocchio, si alzò e mi bastonò di santa ragione, avrò avuto circa sei anni.

Quella sera non l’ho mai dimenticata, perché né mia madre, né i miei fratelli più grandi o mia nonna osarono prendere le mie difese; forse mio padre non aveva pensato che ero solo un bambino che aveva fame….

Negli anni ’50 la terra si arava con le mucche; mio padre guidava l’aratro ed era una fatica enorme tenerlo conficcato nella terra arida per tante ore al giorno. Si iniziava ad arare verso le tre del mattino e si smetteva dopo sette ore. A dieci anni io mi alzavo a quell’ora assieme a mio fratello Enrico, a mia sorella Viola e a mia mamma. Come tutti i bambini di dieci anni che vengono svegliati presto, anch’io mi lamentavo e mia madre mi diceva: “Cocco mio, non sei nato dal ventre di una signora, ma dalla pancia di una donna povera, perciò ti devi alzare e andare ad aiutare tuo padre.” Così era la vita.

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