Di memoria si vive. Dalla memoria si trae nutrimento per plasmare il futuro. E le Marche, soprattutto nella loro parte meridionale, possono fregiarsi di aver scritto alcune delle più intense pagine di resistenza civile durante il secondo conflitto mondiale. Pagine che hanno lasciato un’impronta indelebile. Pagine che ancora oggi vengono riaperte, per comprendere e per guardarsi dentro.

Sono tante le storie che, girovagando soprattutto nelle zone interne, si riescono ad ascoltare.

A Montemonaco, ad esempio, a poche ore di cammino dal Monte Sibilla, sopra la frazione di Isola San Biagio, c’è una piccola casa lungo il sentiero del Grande Anello dei Sibillini. Lì, fuggendo da un campo di prigionia, si nascosero nel 1943 quattro soldati britannici, prima di essere accolti e protetti dalla famiglia Buratti, nonostante la presenza di milizie nazifasciste nella zona. Tra i soldati c’era Eric Batteson, che più di 70 anni dopo ha voluto ringraziare quella comunità, duramente colpita dal terremoto, donando una grossa somma di denaro.

E sempre in quell’area, altri ufficiali inglesi furono nascosti sul Monte Amandola dalle famiglie che abitavano a Garulla, così come tante altre esperienze simili possono essere colte fermandosi a chiacchierare con chi, quella memoria, continua ad alimentarla.

C’è poi Servigliano, lungo la valle del fiume Tenna. E c’è soprattutto la Casa della Memoria, un’aula didattica multimediale nata con il recupero della vecchia stazione ferroviaria, situata proprio di fronte ad un campo di prigionia nel quale confluirono, dall’inizio dello scorso secolo, prigionieri di varie nazionalità e, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, profughi provenienti dall’Istria, oltre che dalle nostre ex colonie in terra d’Africa.

E quella Casa, che prende il nome dall’associazione che da anni lavora ad un’ampia ed importante raccolta di materiale e testimonianze, rappresenta un faro soprattutto per le nuove generazioni. Un luogo di conoscenza ma anche di incontro, davanti ad un muro che per decenni ha delimitato il campo, comprimendo le esistenze di decine di migliaia di persone, tra polvere e baracche. È rimasto in piedi, quel muro, quasi a voler chiedere scusa per non essere riuscito ad opporsi a così tanta follia. E dietro i suoi mattoni, sopra un prato per troppe volte calpestato silenziosamente, oggi si appoggiano le voci di bambini e famiglie. Voci libere, che inseguono un pallone. Voci che riescono a deflagrare da uno scivolo quasi fossero una sola melodia. Voci che si ritrovano. E soprattutto occhi: occhi che provano a spingersi oltre, senza perdere mai i proprio punti di riferimento.

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ANDREA BRACONI