A 55 anni dalla fondazione di FABI, ricordiamo gli inni rock che hanno segnato il 1965

Impossibile non pensare con nostalgia ad alcuni periodi della nostra vita, quelli che alcuni fortunati tra noi hanno vissuto e quelli che molti di noi avrebbero voluto vivere.

Il 1965 è uno di quei momenti, un anno spartiacque tra l’inizio del Decennio ereditato dal boom economico post-Guerra Mondiale e la fine dello stesso Decennio, quando speranza, amore e fiori verranno sostituiti dalle cupe nubi dei Seventies.

Un anno di clamorosa creatività, forse non per coincidenza l’anno della fondazione di Fabi. Un anno di inni rock memorabili.

Chi accende le radio 55 anni fa, o inserisce un vinile nel proprio giradischi, è trascinato nel sound fumoso, elettrico, perverso, malinconico e seducente del rock and roll di stampo anglosassone, sia esso statunitense o britannico, pronto a raggiungere il suo massimo splendore.

In un’epoca difficile ancora legata ai rigidi valori morali dell’epoca vittoriana, dove l’ipocrisia puritana o i timori della Chiesa additano i nuovi divi del palcoscenico come seguaci del Maligno, una vibrazione sempre più intensa sta iniziando a scardinare tutte le certezze pre-esistenti.

Non riesco a provare alcun piacere. Così canta Mick Jagger nel celebre brano “I Cant’ Get No Satisfaction”, iniziando a condannare simbolicamente molte di quelle situazioni quotidiane legate al consumismo in esplosione che non procurano nessun sentimento positivo alle nuove generazioni.

E’ una denuncia – decisamente non l’unica in quei mesi che faranno da apripista al Sessantotto – a un sistema sociale che, superati i drammi della Grande Guerra, si sta adagiando su se stesso, intontito dal nuovo benessere.

Una dichiarazione d’intenti rock di una delle due band di riferimento della Gran Bretagna cui non può non rispondere l’altra, addirittura pubblicando due album di culto in un’unica, fenomenale annata: i Beatles, con “Help!” e “Rubber Soul”, toccano alcune delle vette assolute della loro carriera, mettendo in poesia cantata il passato romantico con “Yesterday” e rivolgendosi all’oggi con una richiesta d’aiuto – “I need somebody! Help!” – quasi profetica alla luce dell’addio violento e tristissimo del leader John Lennon nel 1980.

Ai due gruppi leggendari del Vecchio Mondo fanno eco altri grandissimi del rock dall’altra parte dell’oceano. Bob Dylan con “Like a Rolling Stone” dipinge la metafora dell’uomo moderno, una pietra rotolante priva di una casa, solitaria e senza significato, rigettato dalla società e spogliato del suo status, ma c’è spazio anche per Barry McGuire, cantautore bianco dell’Oklahoma e per il suo inno di protesta verso un’America ancora allergica al rispetto dei diritti civili e catapultata in una delle guerre più atroci e insensate della sua storia, quella del Vietnam.

La sua “Eve of Destruction”, traducibile con “Sul Ciglio della Distruzione”, è la versione più famosa di una canzone che tanti hanno voluto cantare e reinterpretare e che in frasi come “Sei abbastanza grande per uccidere, ma non per votare” raccoglie il sentimento di rabbia, di frustrazione ma anche di radicale cambiamento dei giovani americani mandati a combattere i vietcong.

Anche il folk statunitense non si tira indietro in un periodo dove si sta facendo sentire forte il desiderio interiore di comunicare il proprio disagio, di annunciare il proprio malessere o la propria solitudine. L’omicidio-shock del presidente Usa Kennedy è distante solo due anni e “The Sound of Silence” di Simon & Garnfunkel sembra rielaborarne il lutto, annunciando l’arrivo di una nuova era, rivoluzionaria ma piena di ostacoli.

C’è spazio e successo anche per generi più leggeri, di cui l’Italia è maestra con Gianni Morandi, Adriano Celentano e Mina – pietre miliari ma solo pochi l’hanno già intuito – mentre dal Regno Unito anche gruppi meno appariscenti come i “The Animals” sfoderano il loro grido di battaglia, quel “Please Don’t let Me Be Misunderstood” che racchiude tutte le richieste di essere compresi della nuova ondata giovanile.

Un grido che gli Who, altra band inglese leggendaria, riprendono e ripropongono come un manifesto, dichiarando “La gente cerca di abbatterci solo perchè ce ne andiamo a zonzo”: è  rivolta alla “My Generation”, quella che nel 1965 sta iniziando a prendere coscienza del proprio ruolo nel mondo.

Peace and love folks.

Michele Pettene